Un invito anche affettuoso
che mi sento ripetere ormai da anni da quando ero bambino e soprattutto da
adolescente. In quartiere gli amici mi chiamavano “ Mani sporche” per via della mia passione per la
meccanica della bicicletta che mi vedeva interi pomeriggi a smontare e
rimontare biciclette e vecchi motorini, non mi lavavo le mani, averle
eternamente sporche di grasso rappresentava il tratto più definito della mia
personalità. Avevo le mani sporche perché sapevo riparare una bicicletta, le
ammiravo, ammiravo le mezze lune rovesciate delle unghia nere, mi portavo le
mani al naso per sentire l'odore del grasso impastato con la polvere, per
sentire il mio odore.
“ Spettinato”
era il secondo soprannome, nel quartiere ognuno aveva un soprannome che lo
distingueva e definiva rispetto agli altri. Il figlio del carbonaio era
conosciuto come “ lello carbone, ciccione, tirchione e ricottaro”
Io “ Manisporchè “ non mi
accorgevo e curavo della mia capigliatura piuttosto che delle macchie di grasso
piazzate ovunque come su un grembiule di fiori neri, io neppure sapevo di
essere sporco, quello che sapevo coincideva con quello che desideravo, e
desideravo solo imparare meglio degli altri a riparare le biciclette. Poi
arrivarono i motorini a due tempi: i Morino a tre marce, i Benelli monomarcia,
i Ciao e le Vespe a tre e quattro marce
e le prime biciclette da corsa.
In tutto questo
continuavo a non essere sfiorato dall'ipotesi
di pettinarmi o lavarmi le mani.
Essere sporchi o meglio“ Non
puliti” è esattamente come essere anoressici, bulimici, alcolisti,
psichiatrici, timidi, sbruffoni, psicotici, tratti non incompatibili fra loro
che possono senza particolari conflitti convivere fra loro nello stesso
caschetto di capelli arruffati e sporchi.
Lo sporco se mai mi fosse
interessato vederlo, credo di averlo visto veramente per la prima volta a
quattordici anni, prima avevo grossi problemi di vista tanto che per vedere
meglio gli oggetti dovevo portarli alla bocca e cosi facevo con quelli appesi
al muro, ricordo che in quarta elementare appoggiavo la lingua sulla lavagna
per sentirne la consistenza.
In seconda media la
professoressa di lettere mi caricò in sella alla sua vespa 150 per portarmi da
un ottico, goccine per dilatare la pupilla, visita oculistica e dopo un paio di
giorni arrivarono gli occhiali ed una visione più nitida del mondo. Il mondo
non l'avevo mai visto cosi limpidamente, in effetti si poteva dire che non lo avevo
mai visto il mondo, sicuramente non come
lo avevano visto gli altri.
Mi guardai le mani e mi cercai nello specchio, nulla di
cui vergognarsi, pensai. Sporco, spettinato furono concetti che imparai solo
dopo aver indossati i primi occhiali.